di Daniele Balicco, Jolanda Bufalini e Maria Nicolaci
© Daniele Balicco
LaRa (Laser Retroreflector Array), il microriflettore[1] spaziale sviluppato e realizzato dal gruppo SCF_Lab dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, è uno degli strumenti in dotazione a Perseverance, il rover atterrato su Marte qualche mese fa[2]. Che una notizia del genere – vale a dire, che una componente tecnologica di una missione spaziale di questo livello sia progettata a Roma – quasi non compaia sulle principali pagine dei quotidiani nazionali; e nemmeno su quelli cittadini, in realtà non ci stupisce. Perché si inserirebbe ormai come elemento perturbante nel frame che orienta il racconto contemporaneo della città, ben riassunto nello sfogo di un personaggio dell’ultimo romanzo di Nicola La Gioia, secondo cui Roma “è una città che non produce niente (…) solo potere che ricade su altro potere”. Per iniziare a mettere in crisi questa forma di rappresentazione tossica della città, può essere utile ricominciare a raccontarne la storia. Per esempio, la storia del rapporto di lunghissimo periodo che lega Roma alla ricerca scientifica. Vediamo meglio.
Il rapporto tra Roma e la scienza è tanto antico e fecondo quanto misconosciuto e maltrattato. La ricostruzione culturale e sociale della città oggi deve fare i conti sia con la sua identità scientifica sia con le conseguenze che il rifiuto di questa preziosa eredità hanno portato. Da via Panisperna a Galilei, dalla scuola di matematica all’impresa che portò all’eradicazione della malaria nell’agro-romano, dalla casa del bambino di Maria Montessori ai successi del settore aerospaziale, tra tutti gli esempi che si potrebbero scegliere per raccontare il legame della scienza con la città di Roma, qui vogliamo ripercorrere la storia di un grande assente: un museo della scienza.
La possibilità di un museo della scienza a Roma risale almeno al XIX secolo, ma scorrendo l’elenco soltanto degli ultimi progetti avviati e mai realizzati spiccano quello visionario di Maurizio Sacripanti (primi anni ’80) in via Giulia, promosso da Giorgio Tecce e da Renato Nicolini, allora rispettivamente preside della Facoltà di Scienze dell’Università “La Sapienza” e assessore alla Cultura del Comune di Roma; successivamente, negli anni Novanta, si pensò, con l’idea di celebrare il passato industriale romano, a un moderno museo nelle aree dismesse del Mattatoio (su progetto di Paolo Portoghesi) o dei Magazzini Generali, fino a quella, coordinata da Paco Lanciano in un’area del quartiere Ostiense di proprietà dell’Eni, che forse è stata la proposta che più delle altre è sembrata di qualche successo e speranza di realizzazione.
Si arriva così al 2005, con il DL del 30 settembre 2005, che autorizza la “dismissione urgente e prioritaria” nell’ambito di “obiettivi di finanza pubblica” di immobili ad uso non abitativo, con particolare riguardo agli immobili “da vendere a prezzo di mercato”, e inizia la storia della dismissione degli Stabilimenti militari materiali elettronici e di precisione (SMMEP) di via Guido Reni nonché quindi dell’ultimo punto nella lista dei mancati musei della scienza a Roma. I passi successivi, almeno quelli salienti, sono l’accordo fra la giunta Alemanno e il ministero della Difesa, datato 4 giugno 2010, che dà virtualmente il via alla valorizzazione delle caserme fra le quali è annoverato l’area degli SMMEP ma che non contiene destinazioni di interesse pubblico e non viene rinnovato alla scadenza. Con la nuova giunta guidata da Ignazio Marino, il 25 settembre 2013 viene approvata una memoria nella quale si prevede di collocare nell’area da valorizzare sia il museo della scienza sia una quota di alloggi sociali e servizi di interesse territoriale. Contemporaneamente il ministro dell’economia Saccomanni, nell’ambito delle operazioni volte a far rientrare il debito italiano nei parametri europei, cede l’area a Cassa Depositi e Prestiti SGR (“Salvaroma” 2013) che, di fatto, accoglie gli indirizzi della memoria[3] della giunta Marino: per Roma Capitale l’area di 55.480 mq (266mila mc con edifici da 1 a 4 piani) è di “rilevanza urbana”, la riqualificazione funzionale e la valorizzazione vengono inserite nel Progetto Urbano “Parco della musica e delle arti” rafforzandone la vocazione culturale con la localizzazione della “città della scienza”. Lo Studio Viganò di Milano nel dicembre 2015 vince il concorso internazionale bandito da CDP Investimenti e dal Comune di Roma con un progetto, poi scartato, nel quale la città della scienza era al centro dell’area a disposizione, il punto di forza di questo scenario risiedeva nell’aggancio ai tessuti esistenti ma mostrava un punto di fragilità nel basarsi su uno spazio pubblico indefinito che avrebbe diviso i due cantieri, quindi viene indicato un secondo scenario nel quale la Città della Scienza è collocata nel margine Nord-Est. Questo spostamento è un particolare molto significativo, mette già in risalto che sin da subito erano presenti grandi difficoltà nel dare indicazioni precise sulla Città della Scienza ai progettisti. E infatti il progetto non avanza; rimane in sospeso durante il commissariamento Tronca (nov’15-giu’16), e la prima delibera della nuova giunta Raggi che assume il progetto è del 18 ottobre 2019. Si succedono due assessori all’urbanistica; il primo, Paolo Berdini, vorrebbe spostare un eventuale Museo della scienza in un’area più periferica della città, il secondo, Luca Montuori, invece apprezza e mantiene lo stesso impianto e collocamento della delibera precedente, ma introduce alcune significative modifiche: 1) mette a concorso gli spazio pubblici di quartiere; 2) accoglie alcune modifiche richieste da CDP per l’albergo, in base a standard internazionali del settore; 3) cambia lo strumento urbanistico che non è più quello dei piani di recupero.
È importante notare come la nuova delibera non entri assolutamente nel merito della questione “Città della scienza”; rimane solo una dichiarazione vaga dell’assessore Montuori che dice che lo spazio sarà “dedicato alla diffusione della cultura scientifica sul quale apriremo una discussione”. La storia di quello che attualmente è l’ultimo stop alla realizzazione di un museo della scienza a Roma si conclude il 17 dicembre 2020 con l’Assemblea Capitolina che approva le controdeduzioni alle osservazioni per la trasformazione urbana degli ex stabilimenti militari di Via Guido Reni: la trasformazione riguarderà una superficie complessiva minore di quella stabilita inizialmente (circa 55000 mq) nella quale si conferma che saranno realizzati edifici residenziali, un albergo, esercizi commerciali di vicinato, oltre a servizi per il quartiere. Nessuna decisione è stata presa sulla parte pubblica, circa metà dell’area, dove la Giunta Marino aveva ipotizzato di realizzare la Città della scienza con una parte museale, laboratori e servizi per l’università, oltre a una grande piazza pubblica simmetrica al prospiciente MAXXI. Sparisce quindi il progetto della Città della Scienza; ma che questo fosse il suo destino era già chiaro da numerose dichiarazioni dell’ex vicesindaco e assessore alla cultura Luca Bergamo, secondo cui al posto del museo, sebbene strettamente parlando il tema afferisca al comparto pubblico e quindi non ancora ridiscusso, stavano pensando di collocare semplicemente una nuova biblioteca e una “Casa del Quartiere”, quale spazio di incontro e di aggregazione con funzioni plurime per il quartiere e la città intera.
[1] LaRA, un dispositivo in grado di facilitare l’identificazione del rover riflettendo la luce del laser con cui saranno equipaggiate le sonde che raggiungeranno nel prossimo futuro l’orbita marziana, assolverà compiti diversi, come la misura della posizione del veicolo sulla superficie del pianeta, misure di geofisica e geodesia e la verifica della teoria di Relatività Generale di Einstein. (https://home.infn.it/it/)
[2] da NASA TV: https://www.youtube.com/watch?v=GUqsH5y1j1M
[3] L’accordo con Cassa Depositi e Prestiti – SGR e la delibera prevedono su una superficie di 72.000 mq lordi complessivi:
- 29.000 di residenziale libero,
- 6.000 di residenze sociali,
- 5.000 mq di commerciale,
- 5.000 di ricettivo,
- 27.000 mq destinati alla città della scienza.
La trasformazione è inserita, in base al PRG, nell’ambito di programmazione strategica Flaminio-Fori-Eur, ovvero: aree strutturanti che nel tempo hanno marcato lo sviluppo della città e sono ritenuti strategici per la possibile attivazione di dinamiche trasformative.
Nello specifico la trasformazione è finalizzata “a generare spazio pubblico e funzioni al servizio della città nelle sue prospettive internazionali, facendosi carico anche delle esigenze di prossimità degli abitanti”. Le funzioni del nuovo impianto urbano sono culturale, ricettiva, turistica, residenziale. Lo strumento urbanistico è una variante per recupero del patrimonio edilizio (i piani di recupero secondo la legge n.457 del 1978). Gli spazi devono essere progettati allo scopo di valorizzare lo spazio aperto, qualificato nella configurazione architettonica e del verde.
La delibera individua due comparti:
- Comparto fondiario privato (29.000 mq residenziale, 5.000 commerciale, 5.000 ricettivo, 6.000 sociale).
- Comparto fondiario pubblico di 27.000 mq complessivi, di cui 10.000 per la città della scienza, 14.000 servizi di quartiere.
Si stabilisce anche un contributo di oneri straordinari di non meno di 43 milioni di euro. E il massimo controllo degli esiti progettuali.